Il prossimo 17 giugno sarà giorno di scadenza per il versamento dell’acconto Imu relativo all’anno 2024 e, a tal riguardo, la domanda più gettonata è quella relativa al pagamento o meno dell’imposta sulla “prima casa”.
Spesso tra i non addetti ai lavori si sente dire: “Sono proprietario soltanto di un immobile, pertanto non devo pagare alcunché”. Prima di ogni cosa è opportuno chiarire la definizione di “abitazione principale” ai fini Imu. La legge n. 160/2019 art. 1 co. 761 che regola l’imposta in questione, dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 209/2022, considera abitazione princpale l’immobile iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore abbia fissato la propria residenza e vi dimora abitualmente. Pertanto, attenendosi al dettato normativo, nel caso in cui il contribuente sia proprietario di un solo immobile, ma non ha fissato la propria residenza e contestualmente non vi dimora abitualmente, è obbligato al versamento dell’Imu.
Il presupposto oggettivo dell’Imu, in generale, è riconducibile al possesso di una di queste tre categorie di beni:
- fabbricati;
- aree fabbricabili;
- terreni agricoli (esenti se ricorrono determinati requisiti previsti dalla Legge).
Il presupposto soggettivo, invece, è il possesso del bene pertanto sono soggetti passivi di imposta:
- il proprietario dell’immobile;
- titolare del diritto reale di usufrutto, uso, abitazione, enfiteusi e superficie;
- il locatario per gli immobili detenuti in leasing, purché ne sia l’utilizzatore;
- il concessionario di aree demaniali in regime di concessione;
- il genitore non titolare di diritto di proprietà che sulla base del provvedimento del giudice risulta assegnatario della casa familiare.
Invece, non sono soggetti passivi Imu:
- il nudo proprietario;
- l’affittuario o il comodatario;
- il locatore finanziario;
- il genitore proprietario della casa familiare, ma che è stata assegnata dal giudice all’altro genitore.
È opportuno, inoltre, evidenziare che il titolare del diritto di proprietà o altro diritto reale sul bene è obbligato al versamento del tributo in proporzione sia ai mesi dell’anno durante i quali si è protratto il possesso che alla propria quota di possesso.
A titolo di esempio, se su un fabbricato coesistono due proprietari, ognuno è titolare di una quota pari al 50% per tutto l’anno e l’acconto Im sull’intero immobile ammonta a euro 150,00, ciascun sarà obbligato a versare pro quota 75,00 euro. Questo è di fondamentale importanza anche nel caso di omesso versamento del tributo da parte di uno soltanto dei comproprietari, poiché, l’ente impositore non può richiedere all’altro proprietario il pagamento secondo il principio della c.d. solidarietà dipendente.
Rispetto all’abitazione principale e all’eventuale pertinenza, tuttavia, esiste un’eccezione che non permette di godere dell’esenzione dell’imposta, legata alla categoria catastale di appartenenza dell’immobile. Infatti, se l’immobile rientra nelle categorie catastali A/1; A/8 o A/9 (abitazioni di lusso), anche se il proprietario vi ha posto la residenza e vi dimora abitualmente, l’imposta è comunque dovuta anche se con un’aliquota ridotta rispetto quella ordinariamente applicabile dai comuni. Le stesse sorti vengono seguite dalla pertinenza riconducibile all’abitazione principale. Per pertinenza si intende quell’immobile appartenente alle categorie catastali C/2 (cantina), C/6 (box auto) e C/7 (tettoia).
Dopo questo breve excursus sulle caratteristiche dell’imposta, questo contributo desidera porre l’accento sulla questione accennata in premessa ed oggetto dalla sentenza n. 209 del 13 ottobre 2022 della Corte Costituzionale, nella quale è stata dichiarata incostituzionale la precedente formulazione dell’art. art. 1 co. 741 della L. n. 160/2019 dove si definiva abitazione principale quella in cui il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente. Infatti, secondo la Corte Costituzionale ai fini Imu, affinché un’abitazione possa essere definita principale è necessario che il solo possessore e non anche il proprio nucleo familiare, rispetti congiuntamente due requisiti:
- la residenza anagrafica (requisito formale);
- dimora abituale (requisito sostanziale).
Ripercorrendo il quadro normativo, si può osservare che fin dalla genesi dell’imposta (2011) era data la possibilità al nucleo familiare che avesse stabilito la propria residenza in immobili differenti, ma siti nello stesso comune di sceglierne uno da eleggere ad abitazione principale per poter godere dell’esenzione, nulla era specificato rispetto all’ipotesi in cui il nucleo familiare avesse stabilito la propria residenza in due immobili diversi e siti in comune altrettanto differenti.
Su questo secondo aspetto, il Legislatore è intervenuto nel 2021 con il D.L. 146/2021 in cui ha previsto esplicitamente la possibilità di scegliere un solo immobile da qualificare come principale qualora i due coniugi avessero stabilito la loro residenza su due immobili differenti ed ubicati in comuni differenti. Il cambiamento epocale si è invece celebrato con la pronuncia della Corte di Cassazione dando la possibilità al nucleo familiare con residenza anagrafica e dimora abituale in immobili differenti nello stesso o comune differente, di qualificarli entrambi come abitazione principale, usufruendo quindi per entrambi dell’esenzione Imu. Invece, nell’ipotesi in cui entrambi o soltanto uno degli immobili rientrino nelle categorie catastali di lusso (A/1 – A/8 e A/9) si applica l’aliquota Imu ridotta ed avere diritto alla detrazione pari a 200 euro.
Inoltre, la dichiarazione di incostituzionalità ha effetti anche per le annualità antecedenti al deposito della pronuncia, infatti, per i conteziosi pendenti che hanno ad oggetto il disconoscimento dell’esenzione IMU per l’abitazione principale, per le fattispecie di componenti del nucleo familiare (marito e moglie o coppie di fatto) con residenza e dimora abituale in immobili differenti, trova applicazione la disciplina dettata dalla sentenza 209/2022. Invece, per i possessori di immobili che abbiano versato l’IMU non applicando l’esenzione (o agevolazione in caso di abitazioni di lusso), in presenza di un componente del nucleo familiare con residenza e dimora in un immobile differente, vige il diritto al rimborso che deve, però, essere richiesto entro il termine di cinque anni decorrenti dal giorno del versamento.
Tuttavia, la pronuncia dei giudici della Corte Costituzionale, non deve essere interpretata come uno strumento di elusione fiscale in riferimento soprattutto alle seconde case utilizzare per le vacanze, come la casa al mare o in montagna.
Infatti, la sentenza ha ribadito che è responsabilità dei comuni di effettuare gli adeguati controlli avvalendosi degli strumenti di cui dispongono per verificare la veridicità delle dichiarazioni affinché possano riscontrare l’esistenza o meno di una dimora abituale.
Sul punto, però è doveroso fare delle riflessioni: premesso che verificare il requisito formale della residenza è abbastanza semplice per i comuni consultando il registro dell’anagrafe comunale, ma per quanto riguarda quello sostanziale della dimora abituale risulta al quanto aleatorio, l’unico elemento che riesce a provarlo è un congruo consumo delle utenze domestiche, prima tra tutte l’energia elettrica.
A tal proposito, sempre la Cassazione si è già pronunciata con la sentenza n. 14793/2018 in merito ad un ricorso ICI anni 2008-2010 con la quale ha disconosciuto la dimora abituale per consumi esegui di energia elettrica e per l’assenza del medico di base nel comune di residenza del contribuente (anche se sembrerebbe che non esista una norma che obblighi la scelta del medico curante nello stesso comune di residenza del paziente).
Ad ogni modo, considerato che l’Imu rappresenta uno dei principali introiti dei Comuni, alla luce del ripristino della doppia esenzione, riusciranno davvero ad attivare i dovuti controlli per far fronte ad eventuali elusioni fiscali, oppure, potranno rifiutare di accettare le richieste di iscrizione al registro dell’anagrafe comunale, in assenza di una valida motivazione da parte dei richiedenti? Ai posteri l’ardua sentenza.