08.07.24

Redditi da locazioni immobiliari: tassazione agevolata anche quando l’inquilino è un’impresa?

In questo periodo si sta affrontando la campagna delle dichiarazioni dei redditi ed i dubbi da parte dei contribuenti sono sempre tanti. Uno fra tanti riguarda la tassazione dei redditi derivanti dalle locazioni immobiliari, soprattutto se l’inquilino di un immobile è un’impresa.

Andiamo per step. Il tema è regolamentato dall’art. 37 del Tuir che prevede due modalità alternative di tassazione dei redditi, ordinaria ed agevolata.

TASSAZIONE ORDINARIA. Prevede che i canoni di locazioni percepiti durante l’anno, ridotti forfettariamente del 5%, saranno sommati con gli altri redditi, ad esempio quelli da lavoro dipendente o autonomo, ottenendo così la base imponibile da assoggettare alle aliquote Irpef in funzione degli scaglioni progressivi di reddito.

TASSAZIONE AGEVOLATA. Il contribuente può optare di tassare i redditi per intero, con l’imposta sostitutiva all’Irpef: la cosiddetta cedolare secca. Si tratta di un’imposta “piatta” perché è proporzionale al reddito percepito.

Allo stato attuale, l’aliquota generalmente applicabile è del 21%, ma ci sono delle eccezioni: nel caso in cui la locazione è stipulata a canone concordato, il locatore beneficia dell’aliquota ridotta del 10%; nel caso delle locazioni brevi (inferiori a 30 giorni), l’aliquota del 21% è applicabile soltanto sulla prima unità abitativa locata e a partire dalla seconda si applica l’aliquota del 26%; mentre dalla quarta unità abitativa in poi la cedolare secca non è più applicabile poiché, in base alla normativa vigente, si configura l’attività di impresa, che segue tutt’altre regole di tassazione.

La cedolare secca, in sintesi, è un’imposta sostitutiva, perché oltre a sostituirsi all’Irpef e alle relative addizionali, si sostituisce anche all’imposta di registro e a quella di bollo, che sono invece dovute nella tassazione ordinaria.

Fatta questa doverosa premessa sulle peculiarità e differenze tra la tassazione agevolata e quella ordinaria, questo contributo desidera porre l’accento sulle caratteristiche soggettive delle parti del contratto, cioè sul locatore e sul locatario. Caratteristiche messe in discussione per ben tredici anni dall’Amministrazione finanziaria nel caso in cui l’inquilino è un’impresa.

In particolare, l’Agenzia delle Entrate ha posto veto al locatore di optare per la cedolare secca nel caso in cui l’immobile ad uso abitativo sia locato ad un conduttore esercente attività d’impresa e quest’ultimo lo utilizzi per far alloggiare i propri dipendenti.

Il dilemma è sorto già all’indomani della norma che ha introdotto l’imposta sostitutiva sulle locazioni abitative (art. 3 del D. Lgs. N.23/2011), interpretando in modo errato il disposto del comma 6 dell’art. 3 che esclude l’applicabilità dell’imposta sostitutiva nel caso in cui l’oggetto della locazione sia un’unità immobiliare ad uso abitativo (quindi tutti gli immobili rientranti nella categoria catastale da A/1 a A/11 esclusi gli A/10) effettuata nell’esercizio di un’attività d’impresa.

Da un’interpretazione letterale della norma, è piuttosto chiaro che, nell’ipotesi in cui il locatore – cioè colui che concede in locazione l’immobile – svolge un’attività imprenditoriale (si pensi all’affittacamere professionale), l’imposta sostitutiva non può essere applicata, ma la norma non fa alcun riferimento alla soggettività del locatario – cioè colui che riceve in locazione l’immobile – che può essere un privato, un imprenditore o un professionista.

I dubbi, infatti, sono sorti quando l’Agenzia delle Entrate ha dato un’interpretazione differente al dettato normativo, affermando con la circolare n. 26/2011 che per valutare l’accesso alla tassazione sostitutiva è necessario verificare sia le caratteristiche del locatario che l’utilizzo cui sarà destinato l’immobile.

Pertanto, in base a quanto annunciato dall’amministrazione finanziaria, per tanti anni molti locatori hanno rinunciato alla possibilità di applicare la cedolare secca a tutte quelle locazioni concluse con locatari che agivano nell’esercizio di attività di impresa o lavoro autonomo, a prescindere dall’utilizzo dell’immobile per finalità abitative di collaboratori o dipendenti.

LA PRONUNZIA DELLA CASSAZIONE. Questa interpretazione, negli anni, ha generato molti contenziosi e, per porvi fine, è intervenuta la Corte di Cassazione con la sentenza n. 12395 del 7 maggio 2024. Gli Ermellini non condividono la posizione assunta dall’Agenzia delle Entrate, ponendo l’accento sulla possibilità del locatore di optare per la cedolare secca senza che il conduttore possa in alcun modo opporsi a tale scelta. Inoltre, la sentenza evidenzia che il comma 6 dell’art. 3 del D.lgs. n. 23/2011 esclude la possibilità di tassare i canoni di locazione con la cedolare secca, soltanto nell’ipotesi in cui il locatore agisce nell’esercizio di un’attività di impresa arti e professioni.

Pertanto, in seguito a questa pronuncia dalla Corte Suprema è stato fugato ogni dubbio quando si è di fronte alla fattispecie di una locazione di un immobile ad uso abitativo concluso con un locatario esercente attività di impresa.

In sintesi è possibile riassumere in tre punti gli elementi necessari per essere in regola: il locatore, non deve svolgere attività di impresa; l’uso dell’immobile oggetto della locazione deve essere quello abitativo (es. alloggi per i dipendenti/collaboratori); è indifferente l’esercizio o meno del locatario di un’attività di impresa.

Interpretando in modo favorevole la sentenza, sembrerebbe che per tutti i contratti in essere e per i quali non è stata esercitata l’opzione per la cedolare secca, da ora in avanti lo si potrà fare per le annualità successive rispettando il canonico termine dei 30 giorni.

Invece, per quanto riguarda il recupero del passato, secondo la maggior parte della Giurisprudenza, non è percorribile la strada della presentazione della dichiarazione integrativa, perché come detto sopra il contribuente, nel momento in cui ha presentato la dichiarazione dei redditi, non ha esercitato l’opzione per la cedolare secca e pertanto vale il comportamento concludente tenuto nel passato, cioè quello di non opzionare per la cedolare secca.

LA CURIOSITA’. Soltanto per completezza ed esulando dal tema del presente articolo, è opportuno segnalare che nella normativa vigente è prevista la possibilità per il locatore (purché sia un soggetto privato) di applicare la cedolare secca con aliquota al 21% anche nel caso in cui l’immobile oggetto del contratto non sia ad uso abitativo, a condizione che l’immobile sia accatastato nella categoria C/1 (negozi e botteghe) con superficie inferiore a 600 mq escluse le pertinenze.

In conclusione, il contribuente non deve guardare alla cedolare secca come se fosse la “panacea” di tutti i mali. L’opzione, infatti, deve essere esercitata in modo ragionevole, valutando prima di ogni cosa qual è il suo reddito complessivo ed in quale scaglione progresso Irpef si posiziona. Successivamente, occorre valutare quali oneri deducibili e detraibili possono essere inseriti nella propria dichiarazione dei redditi poiché i primi influenzano il reddito imponibile, i secondi l’imposta netta.

Inoltre, non indifferente è l’abbattimento del reddito di locazione del 5% nel caso della tassazione ordinaria, che arriva al 35% per gli immobili riconosciuti d’interesse storico o artistico. La cedolare secca, invece, tassa i canoni di locazione in misura piena, cioè del 100%.

In buona sostanza, anche quando si tratta di dichiarazione dei redditi il contribuente è chiamato a tenere conto di un insieme di elementi, che andrebbero di certo valutati godendo del supporto e delle competenze del Commercialista al quale si decide di affidarsi, così da ricavare la posizione a sé più vantaggiosa.

 

 

Foto di Kelly Sikkema su Unsplash
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